Superare il sistema camerale. La richiesta di Confindustria a Palazzo Chigi è arrivata il 7 aprile 2014: dopo un anno di gestazione è quasi alle battute finali legislativo che si concluderà nel Consiglio dei Ministri. Non oggi, però, perché il provvedimento è uscito dal menù del Cdm convocato per la seratae che ha come oggetto soprattutto la riforma della Pa. In tempo, probabilmente, perché il premier Matteo Renzi mantenga l’impegno preso con il presidente uscende di Confindustria, Giorgio Squinzi che gli chiedeva di “rifocalizzare” e “delimitare le funzioni delle Camere” valutando anche un “definitivo superamento del sistema”. Esattamente quello ha intenzione di fare l’esecutivo.
La motivazione ufficiale è quella della spending review, con un taglio delle sedi e la riduzione a un massimo di 60 Camere, una riduzione del personale del 15% entro 180 giorni, che salirà al 25% una volta che saranno finiti gli accorpamenti: in sostanza finiranno i mobilità circa tremila dipendenti, che se non saranno ricollocati resteranno a casa. E trovare una sistemazione all’interno della Pubblica ammistrazione, nei prossimi anni, sarà sempre più difficile considerando che aspettano una ricollocazione anche i dipendenti delle ex province. La beffa è che il ridimensionamento del sistema camerale rischia di trasformarsi in un aggravio dei costi per lo Stato, come temono i tecnici del Parlamento.
D’altra parte i conti sono presto fatti: a fronte di un budget annuo da circa un miliardo di euro, 800 milioni arrivano sotto forma di contributi delle imprese italiane. La riforma, però, prevede un taglio dei contributi del 40% per quest’anno e del 50% dal 2017: abbastanza per spegnere l’intero sistema, visto che il 46% dei ricavi serve a pagare stipendi e a gestire gli uffici (per la Pubblica amministrazione nazionale il dato sale al 70%).
La scomparsa delle Camere di Commercio, però, rischia di avere un impatto devastante sulle piccole e medie imprese che solo nel 2012 hanno ricevuto, in forma diretta o indiretta, 515 milioni di euro. Risorse che sono servite a finanziare l’internazionalizzazione, la presenza a fiere, ma soprattutto ad accedere al credito attraverso il sistema dei Confidi, che garantiscono 80 milioni di euro l’anno. Insomma per le Pmi c’è il rischio beffa: in cambio di un risparmio di 100 euro l’anno (i diritti fissi fino a 100 mila euro di fatturato ammontano a 200 euro, poi sono progressivi in base ai ricavi), potrebbero non avere più quelle garanzie economiche necessarie ad accedere a fondi nazionali ed internazionali. E soprattutto, non avrebbero più nessuno capace di sostenerle sul territorio e nel processo di internazionalizzazione. In cambio di un risparmio che per un gigante come Fca arriverebbe a 20mila euro: neppure il costo di una nuova assunzione.
Nei piani del governo alle Camere di Commercio resterebbe la gestione del registro imprese, il controllo sulle offerte al pubblico e quello sulle misure. Il sistema però non potrà fissare le tariffe per i servizi che saranno decise dal governo, tagliando così un’altra fonte di ricavi: addio a quindi al servizio brevetti, alle conciliazioni, alla pubblicazione di studi e ai corsi di formazione. Probabile che le Camere di Commercio inizino a vendere i gioielli di famiglia, con un patrimonio immobiliare stimato in circa 5 miliardi di euro oltre a 500 milioni di liquidità.
I funzionari delle Camere di Commercio, però, non si danno pace. Rivendicano l’efficienza riconosciuta proprio dalle aziende che lavorano con loro e sottolineano
i risparmi già messi in atto con una riduzione del personale del 12% rispetto al 2003, contro un – 6% registrato dalla Pubblica amministrazione. Di più, rivendicano la velocità di pagamento dei fornitori e il fatto di essere tra le amministrazioni più digitalizzate.
Fonte: Repubblica.it Fenews